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Amor mi fa cantar questa Comedia
Dante, la lirica trobadorica e i capolavori dell'Ars nova

La Divina Commedia, oltre ad essere quell’eccelsa composizione poetico-letteraria che tutti conoscono, è indubbiamente uno scritto che rappresenta la somma di tutte le conoscenze del tempo, un esercizio di stile in cui Dante sfoggia la sua vasta cultura. Tra i temi toccati, non poteva quindi mancare la musica, che nel medioevo tanta parte aveva nella maturazione di ogni erudito, così da essere ascritta nel Quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia, musica) che, assieme al Trivium (grammatica, retorica, dialettica), determinava la formazione universitaria delle arti liberali.

 

Che Dante fosse un grande conoscitore di musica lo testimonia Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante (1351-55) «Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovanezza, e a ciascuno che a que’ tempi era ottimo cantatore o sonatore fu amico e ebbe sua usanza» ed ancora Francesco Filelfo (1398-1481), pur se fonte non del tutto attendibile, lo descrive come virtuoso di canto, organo e cithara. Ma la sua competenza musicale balza in evidenza proprio nella stessa Divina Commedia, così fittamente intrisa di allusioni, simboli, metafore e citazioni dirette alla musica, sia “terrena”, cioè strumentale o vocale, (musica instrumentalis), sia quella scaturita dall’armonia tra corpo e spirito (musica humana), sia musica delle “sfere celesti” (musica mundana), secondo le concezioni tratte dalla Consolatio philosophiae di Severino Boezio (IV-V sec.), conosciute al tempo dell’Alighieri nell’interpretazione di Guglielmo di Conches.

 

Attraversando le tre Cantiche del poema, si nota infatti una precisa logica nell’evoluzione della musica, come a sottolineare l’ascesa verso la purificazione percorsa dal sommo poeta nel suo cammino: gli strepiti e i fragori dell’Inferno cessano nel Purgatorio, lasciando il posto alla melodia (per lo più salmodia cantata), per culminare nella polifonia al suo arrivo in Paradiso, toccando così l’armonia dell’Eterne Ruote, essenza stessa della musica, svincolata dalla parola e così perfetta che l’essere umano non può comprendere con l’orecchio o l’intelletto ma solo con il sentimento.

 

La terminologia usata nella suddivisione dell’opera, Cantiche e Canti, basta da sola a connotare quanto la musica sia deputata al supporto della narrazione, quasi a configurarsi come un’invisibile scenografia sonora. Questa non solamente indica la topografia delle anime, nella tripartizione Inferno, Purgatorio e Paradiso, confinando le famiglie degli strumenti musicali in uno specifico locus circumstantiarum, ma concorre anche, come in uno spettacolo teatrale, a caratterizzare le situazioni e i personaggi incontrati, sottolineandone aspetti che la forma sonora, con acuta sintesi, riesce a descrivere meglio di mille parole. Addentrandoci nella Divina Commedia, ci si ritrova infatti in un mondo di suoni e di canti, fatto di lamenti, sospiri, grida, preghiere, oltreché di brani musicali esplicitamente intonati. Spesso, proprio attraverso l’uso di terminologia musicale e metafore sonore, il poeta connota i sentimenti espressi dalle anime incontrate nel viaggio ultraterreno. Ne sono un esempio l’idropico maestro Adamo, dalla pancia gonfia come un liuto, o il gigante Nembrod col suo immenso corno (shofar), o ancora l’amico musicista Casella che, proprio come in vita, canta a Dante “Amor che nella mente mi ragiona” tra turbe di anime del Purgatorio intonanti “In exitu Israel de Aegypto”. Tutto è musica in questa Commedia divina. Essa stessa è canto di passioni e miti, di storia passata e contemporanea. Attraverso sapienti sinestesie tra occhio e orecchio l’autore canalizza il pensiero del lettore, facendo risaltare con vividezza situazioni e personaggi ritratti. Ma se nell’Inferno regnano pressoché i soli rumori a evocare le tenebre e il rabbioso dolore dei dannati, nel Purgatorio e nel Paradiso Dante fa ancora di più, crea addirittura una moderna colonna sonora al suo poema, richiamando alla mente del lettore del suo tempo salmodie gregoriane universalmente note: Hosanna; In te Domine Speravi; Salve Regina; Miserere; Beati Mundo Corde; Ave Maria; ecc.

 

La Commedia dantesca vede la sua nascita all’inizio del Trecento, collocandosi in pieno nello sviluppo della corrente letteraria del Dolce Stil Novo, che per inciso prende il nome dal verso 57 del Canto XXIV del Purgatorio, per bocca di Bonagiunta Orbicciani da Lucca, “rivale” guittoniano dell’Alighieri. Le tematiche stilnovistiche, come la figura femminile che diviene "donna-angelo", intermediaria tra l'uomo e Dio, o la capacità d'amare come strumento introspettivo, o la nobiltà d'animo come dote spirituale non ereditaria e l’introduzione, rispetto alla precedente corrente dell’amor cortese, di riferimenti filosofici, morali e religiosi nella poesia, sono tutte caratteristiche presenti ed esaltate nella Commedia. Dante, con estrema dovizia e maestria, canta un amore ben più sublime di quello terreno per la donna desiderata, per Beatrice, il suo diviene amore universale per tutte le creature e le anime incontrate lungo i cento Canti, ed egli intona sommamente le note della musica mundana, l’atto divino generatore: «L’Amor che move il Sole e l’altre stelle».

 

Accanto alla fioritura del Dolce Stil Novo, il Trecento italiano si caratterizza per la nascita di una vera e propria scuola musicale, la prima intesa in senso moderno. Risalgono a questo periodo infatti le più antiche testimonianze scritte di composizioni musicali su testi lirici in volgare italiano, elaborate in forme polifoniche estremamente raffinate. Questa produzione musicale è stata etichettata dai musicologi come Ars nova italiana, riprendendo lo stesso termine coniato in Francia da Philippe de Vitry (1291-1361), autore di un trattato intitolato appunto “Ars nova”. Se nella fase iniziale l'ars nova italiana si sviluppa nel nord, presso le corti degli Scaligeri e dei Visconti, successivamente essa vedrà una vera e propria fioritura in ambito letterario fiorentino, calibrandosi sul ritmo delle poesie di Dante, Boccaccio e Petrarca e assumendo come principali forme poetico-musicali la caccia, la ballata e il madrigale. Si tratta di un genere di musica profana e polifonica, che assume la tematica amorosa come privilegiata e che si caratterizza per una scrittura ritmica assai complessa.

 

Intessendo musiche ed estratti dalla Divina Commedia, lo spettacolo propone alcuni tra i più grandi esponenti dello stile arsnovistico sia italiani (Gherardello da Firenze, Jacopo da Bologna, Francesco Landini, Giovanni da Cascia) che francesi (Guillaume de Machaut), partendo più addietro nel tempo, nell'atmosfera sognante e ancestrale della lirica trobadorica, con brani di Bertran de Born, Giraut de Bornelh e Arnaut Daniel, trovatori citati ed apertamente elogiati da Dante, che doveva conoscerne profondamente l'opera. Con questi intrecci tra testo e musica, ci preme sottolineare la modernità di Dante in quanto testimone delle novità radicali in fermento nella società del suo tempo, in un percorso che avrebbe portato alla nascita dell’attuale concetto di Cultura occidentale

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Sensus  -  dir. Marco Muzzati

Arianna Lanci: canto, clavisimbalum

Luigi Lupo: flauti, traverse medievali

Elisabetta Del Ferro: viella, liuto, ribeca

Marco Muzzati: voce recitante, salterio, percussioni

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